Una produzione “Apulia Center for Art and Technology” in collaborazione con Kuka e Massimo Ronchini.
La serie è finalizzata alla produzione di output fisici partendo da un codice computazionale. Una necessità quella di sviluppare il reale, il tangibile per svincolarlo dal sistema generativo da cui è stato formato. L’hardware, un robot, dinamica dell’imitazione del corpo e della sua sostituzione si presenta necessario nella costruzione dell’idea e dell’opera reputando quest’ultimo, come nuovo medium inevitabile su cui indagare nell’Era in cui i le estensioni corporee avanzano in modo sempre più dominante.
“Per farla finita col giudizio di Dio” è un tentativo di re-immaginare il corpo. Il corpo è un simbolo: inteso nel senso etimologico del gettare insieme, di costringere vari elementi, aspetti, attività e funzioni in una unità irresolubile. É il carattere vivente del simbolo che impedisce la scomposizione in parti. Il divieto dello smembramento consente al simbolo primario di vivere, dilatarsi e moltiplicarsi negli altri simboli che l’uomo ha creato o scoperto nel corso dei millenni. Il corpo smembrato, nell’epoca contemporanea non è più ordinato dalla presenza. Il corpo modificato dalla tecnica si svuota come si svuotano i contenuti dell’Io, della mente, dell’inconscio. La nostra identità diviene un simulacro sopravvissuto al modello. Ostinarsi a celebrare la presenza (l’essere, l’attualità, il nome) in quello che diviene, muta e si trasforma è un atto brutale di prepotenza. Il corpo rinasce dall’assenza, dal vuoto lasciato da Dio o dal padre, dalla precarietà dell’essere, da uno svuotamento dell’Io. Segnato da una privazione ontologica.